«Tramonto o alba di una nuova giurisdizione?» Donata Giorgia Cappelluto per 24 Ore Professionale e ANF

Pubblichiamo l’articolo dell’avvocato Donata Giorgia Cappelluto per la newsletter di aggiornamento realizzata da 24 Ore Professionale in collaborazione con Associazione Nazionale Forense dal titolo «Tramonto o alba di una nuova giurisdizione?» a margine della tavola rotonda che si è tenuta al Congresso Nazionale svoltosi a Parma lo scorso settembre.

Tramonto o alba di una nuova giurisdizione?

Il tema della giurisdizione ha aperto, com’era giusto che fosse, i lavori del X Congresso dell’Associazione
Nazionale Forense in quel di Parma. Ed a dibatterne sono stati relatori eccellenti e prestigiosi, a cominciare dal Presidente dell’ANM Dott. Santalucia, l’Avv. Alberto De Sanctis, l’Avv. Paolo Lannutti e l’Avv. Bruno Sazzini, tutti sollecitati con particolare efficacia dalla giornalista Valentina Stella a dare una risposta articolata, ciascuno secondo la propria prospettiva e formazione professionale, alla domanda se nelle condizioni date, ovvero dopo l’ennesima riforma relativa al rito, oggi si debba parlare di tramonto della giurisdizione o di alba di una nuova era.

La domanda in questione, che si connota di una drammaticità intrinseca, è apparsa in effetti allarmante per tutti i relatori, ma è stata funzionale per sollecitare la loro valutazione sullo stato dell’arte e sul c.d. “servizio giustizia” dopo l’ennesima Riforma
del rito (Riforma Cartabia). Il dibattito ha fatto emergere alcuni punti fermi e molteplici convergenze, nonostante le diverse esperienze e professionalità e sono emerse alcune considerazioni comuni quali ad esempio la convinzione che vi sia: un progressivo svilimento della giurisdizione, sia dal punto di vista della professionalità degli avvocati che dei magistrati nell’ottica efficientista perseguita sistematicamente dal legislatore; una progressiva fuga dalla giurisdizione per ragioni di contenimento dei numeri e per scarsità delle risorse; la necessità di mediare i conflitti con forme di risoluzione alternative delle controversie in ogni settore del diritto; l’esigenza di una formazione professionale più elevata di tutti gli operatori del comparto giustizia con particolare riguardo alla figura dell’avvocato.

Più in generale è emersa la convinzione che le riforme entrate in vigore, da ultimo, presuppongono la necessità di una difesa tecnica molto esperta e competente che non necessariamente raggiunge la sua massima espressione nel processo, ma anche fuori e soprattutto prima (dott. Giuseppe Santalucia).

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«La Riforma Nordio e la cultura delle regole» Donata Giorgia Cappelluto per 24 Ore Professionale e ANF

Pubblichiamo l’articolo dell’avvocato Donata Giorgia Cappelluto per la newsletter di aggiornamento realizzata da 24 Ore Professionale in collaborazione con Associazione Nazionale Forense dal titolo «La Riforma Nordio e la cultura delle regole».

La Riforma Nordio e la cultura delle regole

In data 10 agosto 2024 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale1 la legge n. 114 nota come Riforma Nordio della giustizia penale, di cui il decreto legge c.d. “carceri” del 4 luglio 2024 n. 922, convertito lo scorso 7 agosto 2024, costituisce il completamento.

Le modifiche al codice penale introdotte dall’art. 1 L.114/2024 hanno definitivamente depennato il reato di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) dal nostro ordinamento e ridefinito il reato di traffico di influenze illecite (art. 346 bis c.p.); in entrambi i casi l’intervento del legislatore è destinato a deflazionare una percentuale del contenzioso penale davvero marginale atteso l’ambito di applicazione delle due norme in questione.

Trattasi di norme incriminatrici di chiusura dello “statuto” dei delitti contro la P.A., disciplinati nel libro II – titolo II del codice penale che si applicano in casi del tutto residuali in cui le condotte punibili, poste in essere contro la P.A., sfuggono alla casistica (tassativa) sussumibile nelle ipotesi di reato tradizionali e più gravi.

Come già osservato in sede di approvazione del disegno di legge Nordio3 , l’effetto reale di detto intervento normativo, almeno per quanto riguarda la prevista abrogazione del reato di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) appare volto ad incontrare solo il favore della politica ed in particolare degli amministratori locali degli enti pubblici territoriali, soprattutto in vista dell’intensa azione amministrativa che si apprestano a realizzare in vista della messa a terra del P.N.R.R. entro giugno 2026.

Autorevoli commentatori in proposito hanno osservato in senso molto critico che “quando uno Stato abolisce i reati per fermare i pubblici ministeri, invece di riformare l’azione penale e di migliorare la formazione e la cultura dei magistrati, ha raggiunto un livello di crisi istituzionale […] inconfessabile”.

Invero, l’intervento in questione non appare neppure di pregio sul piano giuridico in quanto non in linea con la normativa euro-unitaria5, comportando il rischio di esporre il nostro Paese ad una procedura di infrazione; né appare in linea con le norme internazionali in tema di lotta alla corruzione che l’Italia è obbligata a rispettare6. Per detta ragione, quasi in dirittura di arrivo e melius re perpensa, con il c.d. decreto “carcere” n. 92/2024 è stato introdotto il nuovo reato di “peculato per distrazione” (art. 314 bis c.p.) appunto per controbilanciare, rectius neutralizzare, gli effetti negativi derivanti proprio dall’abrogazione del reato di abuso d’ufficio nella lotta al fenomeno diffuso, anche in Italia, della corruzione.

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La pena alternativa al carcere per chi commette bancarotta fraudolenta 

La Corte di Cassazione si è pronunciata, con la sentenza n. 23004 del 7 giugno 2024 , sulla possibilità di ammettere alla pena dell’affidamento in prova ai servizi sociali, come alternativa alla detenzione, un imputato condannato per il reato di bancarotta fraudolenta. 

 

La pena detentiva e le misure alternative per chi commette bancarotta 

Nel caso affrontato dalla Cassazione, il Tribunale di sorveglianza aveva applicato la pena della detenzione domiciliare, in alternativa alla detenzione in carcere, alla persona giudicata colpevole di bancarotta fraudolenta. 

Lo stesso Tribunale aveva negato invece l’affidamento in prova al servizio sociale, che il condannato aveva richiesto, per la ragione che non aveva risarcito in alcun modo il danno derivante dalla commissione del reato. 

Il condannato proponeva ricorso per Cassazione lamentando la mancata valutazione dal parte del Tribunale di sorveglianza degli elementi a suo favore, tra i quali la sua capacità patrimoniale e la disponibilità a risarcire, per quanto possibile, la procedura fallimentare. 

La Suprema Corte ha accolto la richiesta e ha dichiarato che può essere ammesso all’affidamento in prova ai servizi sociali colui che sia stato condannato per bancarotta fraudolenta anche se non ha risarcito la procedura fallimentare del danno causato dalla commissione del reato.  

 

La misura alternativa alla detenzione: l’affidamento in prova ai servizi sociali 

La bancarotta fraudolenta è un reato che, in passato, presupponeva la dichiarazione di fallimento. Oggi è disciplinato dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza e non più dalla legge fallimentare. 

La bancarotta fraudolenta può essere commessa dall’imprenditore dichiarato in liquidazione giudiziale o da altre figure che hanno ruoli diversi e specifici all’interno della società in crisi, in quest’ultimo caso si parla di bancarotta “impropria”. 

Per entrambi i reati in caso di condanna sono previste misure alternative al carcere: 

  • la semilibertà; 
  • la detenzione domiciliare; 
  • l’affidamento in prova ai servizi sociali. 

Quest’ultima misura consente al condannato di espiare la pena fuori dal carcere, sotto la vigilanza dei servizi sociali che lo aiutano a superare le difficoltà del reinserimento nella società e verificano che rispetti le prescrizioni del Tribunale in ordine alla sua vita fuori dal carcere. 

L’affidamento in prova può essere concesso se, in base a quanto osservato della personalità del condannato, si può ritenere che possa contribuire alla sua rieducazione ed eviti il pericolo che commetta altri reati.  

Se la prova ha esito positivo, la pena si estingue, così come ogni altro effetto della condanna. 

 

 Il “giudizio prognostico” sull’esito dell’affidamento in prova nella bancarotta fraudolenta 

La Cassazione, nella sentenza citata, ribadisce che il giudice deve dimostrare, nella motivazione del provvedimento, di aver considerato tutti gli elementi, previsti dalla legge, che giustifichino la propria decisione di applicare o meno la misura alternativa richiesta.  

Se è accertata una rilevante tendenza a commettere reati, ad esempio perché il condannato ha numerosi precedenti penali e pendenze giudiziarie, è giustificato il giudizio “prognostico” negativo sulle probabilità di successo della misura alternativa.  

Per prevedere che la prova abbia esito favorevole e non vi sia pericolo che il condannato commetta altri reati, non è infatti sufficiente che manchino elementi negativi, ma sarà necessaria la presenza di elementi positivi che corroborino l’applicazione dell’affidamento ai servizi sociali.  

Il risarcimento dei danni in sé non è una condizione per concedere o negare l’affidamento in prova ai servizi sociali; il Tribunale può legittimamente valutare l’ingiustificata indisponibilità del condannato a risarcire la vittima ma non può respingere la concessione del beneficio in parola deducendo l’assenza di segni di ravvedimento esclusivamente dal mancato risarcimento.  

Nel caso in esame la Corte di Cassazione ha ritenuto che il Tribunale di sorveglianza non abbia correttamente considerato tutti gli elementi disponibili, tra cui la documentazione da cui emergeva la disponibilità del condannato a risarcire, anche parzialmente, la procedura fallimentare. 

MC2 Legali società cooperativa intervistata da Il Sole 24 Ore

Pubblicata lunedì 3 giugno, sulle pagine del quotidiano economico e giuridico Il Sole 24 Ore, l’articolo, frutto di una intervista, che  il giornalista Massimiliano Carbonaro ha proposto a Manuela Mulas, presidente dello studio  MC2 Legali.

L’intervista realizzata a più voci, affronta le ragioni che hanno indotto quattro studi legali, diversi per dimensione e collocazione geografica, ad adottare la forma organizzativa della società tra avvocati come cooperativa a responsabilità limitata.

Il titolo «Pochi gli studi in cooperativa: piace la formula senza vertici» evidenzia subito il carattere paritario e collettivo della forma associativa, ancora poco diffusa, ma che offre notevoli elementi di novità e utilità per gli studi, prima tra tutti la possibilità di contrattualizzare il rapporto tra i soci (gli avvocati), e la società nella forma del socio lavoratore. Un altro evidente vantaggio della forma associativa coop è quello di facilitare l’ingresso di nuovi soci, spesso collaboratori che già lavorano per lo studio a partita IVA senza polverizzare il capitale sociale o indebolire la governance.

La forma associativa della sta cooperativa a r.l.

La legge professionale forense 247 del 2012, riletta anche alla luce della legge sulla concorrenza (124/2017), permette agli avvocati di organizzarsi anche in società di capitali.

Tra queste, naturalmente, stanno le cooperative, i cui soci devono essere, per almeno due terzi rappresentati da avvocati.

L’articolo mette a confronto quattro esperienze, di cui una di Bari, una di Como, una di Roma e quella fondata dalle avvocate Manuela Mulas, Lauravita Cappelluto e Donata Giorgia Cappelluto. 

«Lo studio parmense MC2 Legali, infine, ritiene che per una realtà di provincia, in una fase che premia l’aggregazione, la cooperativa sia la risposta, ma il punto di partenza è stato un rapporto consolidato da più di 20 anni. «Noi pensiamo – sottolinea l’avvocato Manuela Mulas, una delle tre socie fondatrici – che l’avvocato singolo sia destinato a scomparire e che questa formula sia l’unica che garantisca continuità, e fa entrare soci più giovani con facilità»

Scarica e leggi l’intervista integrale in pdf.

Bando per il rafforzamento e l’aggregazione delle attività libero professionali Azione 1.3.1 PR FESR 2021-2027

Innovazione digitale dei processi per la crescita competitiva e lo sviluppo aggregativo di MC2 LEGALI

MC2 LEGALI ha innovato la gestione organizzativa e i servizi offerti. Si è impegnata a implementare una nuova infrastruttura IT, funzionale per allineare gli strumenti e le procedure alla riforma telematica dei processi e delle udienze in corso. L’obiettivo era valorizzare la leva digitale per garantire una crescita competitiva all’attività libero professionale offerta. La cosiddetta “Riforma Cartabia” aveva introdotto una serie di norme volte a realizzare la transizione digitale e telematica del processo civile e penale, con significative innovazioni in tema di formazione, deposito, notificazione e comunicazione degli atti, nonché in materia di registrazioni audiovisive e partecipazione a distanza ad alcuni atti del procedimento o all’udienza. La digitalizzazione della giustizia civile e penale e lo sviluppo del processo telematico rappresentavano dunque dinamiche strategiche a livello programmatico e leva di sviluppo competitivo per i professionisti che sarebbero stati in grado di intercettare e valorizzare il cambiamento in atto

Bancarotta riparata e codice della crisi: un’occasione (forse) perduta 

Con il Codice della Crisi d’impresa si avrà un inevitabile impatto sulle norme penali fallimentari.
Manuela Mulas, socia fondatrice di MC2 Legali, al Convegno “Bancarotta in trasformazione” è intervenuta sul caso della bancarotta riparata,  istituto di creazione giurisprudenziale.

Il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza è entrato in vigore, dopo diverse vicissitudini il 15 luglio 2022 e, a parere della maggior parte dei commentatori, determinerà una vera rivoluzione copernicana nel diritto di impresa. 

 

La vecchia legge fallimentare e l’equilibrio del terrore 

La legge fallimentare del 1942 si reggeva su una sorta di equilibrio del terrore. La crisi era considerata come un fenomeno episodico e non sistemico nella vita dell’impresa ed era ritenuta frutto di incapacità o peggio di condotte colpevoli dell’imprenditore. 
La soluzione migliore per non dire l’unica consisteva nella liquidazione dell’impresa che aveva due scopi: 

  • soddisfare, per quanto possibile in parti uguali i creditori sociali; 
  • espellere del mondo degli affari il fallito è la sua impresa.  

Con il Codice della crisi d’impresa la materia è stata ripensata in modo radicale. La crisi è ora considerata un fenomeno fisiologico, benché patologico, del mondo degli affari e alla soddisfazione del ceto creditorio si affianca un nuovo obiettivo, quello di garantire la continuità aziendale. 

L’idea di fondo è che la liquidazione amministrativa dell’impresa rappresenti l’extrema ratio e che gli interessi dei diversi stakeholder di un’impresa in difficoltà possano essere meglio garantiti da misure che ne consentano la sopravvivenza.  

Da questa grande riforma, tuttavia, sono rimasti esclusi i reati fallimentari, se non per minime modifiche. 

L’effetto dell’esclusione è che la flessibilità che caratterizza istituti fondamentali del codice della crisi rischia di venire schiacciata dal rigore dei reati fallimentari. 

A questa carenza ha in parte posto rimedio la Giurisprudenza, intervenuta più volte con interpretazioni che tengono conto del mutato approccio alla crisi d’impresa e lo stesso Legislatore, nella scorsa legislatura, prima dell’entrata in vigore  del cd. Codice della Crisi, si era posto il problema dell’armonizzazione delle norme penali fallimentari con le nuove norme  civilistiche  costituendo una apposita commissione, presieduta dal Dott. Renato Giuseppe Bricchetti  

  

La bancarotta riparata e il lavoro della Commissione Brichetti 

Numerose sentenze si sono occupate della fattispecie della bancarotta riparata facendo diventare la fattispecie l’esempio più significativo di istituto di creazione giurisprudenziale in materia penale fallimentare. 

La bancarotta riparata si configura quando la sottrazione dei beni di chi commette bancarotta, viene annullata da un’attività di segno contrario, che reintegra il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento. 

In questo modo si annulla il pregiudizio per i creditori e anche solo la potenzialità di un danno per loro. 

Per configurare la bancarotta “riparata” non è necessaria la restituzione del singolo bene sottratto, ma un’attività di integrale reintegrazione del patrimonio anteriore alla declaratoria di fallimento. 

È onere dell’amministratore che si è reso responsabile di atti di distrazione e sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, provare l’esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati (In questo senso si era già espressa la Suprema Corte Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017). 

Il Legislatore si è posto lo scopo di normativizzarla e per questo [la Ministra Cartabia] ha a suo tempo istituito la cd. «Commissione Bricchetti» il cui lavoro (consegnato il 10.06.2022) però ha subito una sorte non chiara. 

Nella primavera 2023 il Ministro Nordio ha ricostituito la Commissione Bricchetti che con un ultimo elaborato consegnato al Ministro,  ha confermato quella originaria volontà e ha ripreso il consolidato orientamento giurisprudenziale. Il testo non è ancora disponibile ma il Presidente Bricchetti ha avuto modo di dichiarare nel corso di un seminario tenutosi il 19 settembre u.s. che era volontà della Commissione dare vita a un sistema riparativo chiaro, efficace e funzionale a tutela dei creditori, confermando che una condotta riparatoria che intervenga prima della sentenza dichiarativa del fallimento impedirebbe la contestazione del reato di bancarotta. 

L’intervista alle fondatrici di MC2 Legali su MAG

Mc2: a Parma, una nuova coop legale

Il progetto, con un focus nel penale e nel diritto successorio e del lavoro, fa riferimento a tre avvocate che a MAG raccontano la genesi e gli obiettivi dell’iniziativa

Il focus è la gestione di problemi di successione e patrimoniali, nei rapporti con banche e istituti di credito, nella prevenzione della condotta penalmente rilevante nelle società e negli enti (D.Lgs. n. 231/01), e nella difesa tecnica nel processo penale, in particolare per imputazioni da reati di «colletti bianchi». A Parma ha da poco preso il via una nuova coop legale. Si chiama Mc2 Legali ed è stata fondata da tre avvocate: Manuela Mulas (MM), Donata (DC) e Lauravita Cappelluto (LC). MAG le ha incontrate per farsi raccontare i dettagli del progetto appena avviato.

Prima cosa il nome: bellissimo. Come l’avete scelto e, al di là del riferimento alle vostre iniziali, che messaggio vuole mandare?
MM: Il nome è il frutto di un brainstorming e di un processo di ricerca in cui siamo state guidate dal nostro consulente di immagine e comunicazione, Paris&Bold. Volevamo un nome che ci rappresentasse come un’entità peculiare nello scenario degli studi legali e che mettesse in luce la nostra attitudine a lavorare per progetti, con una forte motivazione e propensione alla originalità. Con una M e due C la scelta è caduta su MC2. Ci è sembrato che la formula più famosa della storia, quella che descrive la relatività scoperta da Albert Einstein, riuscisse appieno a definire una entità in movimento, aperta al cambiamento, alla ricerca e all’innovazione, ma anche qualcosa di estremamente serio e importante, come per noi sono le questioni che ci sottopongono i nostri clienti.

Tre avvocate e una cooperativa: la ragione di questa scelta?
DC: L’associazione professionale che io e mia sorella Lauravita avevamo e gestivamo non presentava vantaggi particolari, né dal punto di vista organizzativo, né dal punto di vista fiscale e ci è sembrata obsoleta quando, dopo molti anni di collaborazione con Manuela, è maturata spontaneamente l’idea di includerla nella compagine sociale. Lo strumento dell’associazione professionale è inadatto a una gestione dinamica, mentre la cooperativa consente di accettare nuovi soci e modificare gli assetti in maniera molto snella, come ci auguriamo sarà quando i nuovi collaboratori cresceranno e vorranno fare parte del gruppo dirigente dello studio.

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Nasce MC2 Legali

La stampa di settore comunica la nascita di MC2 Legali

Nasce a Parma MC2 legali, un nuovo studio legale in forma di cooperativa. Le fondatrici e socie sono le avvocate Manuela Mulas, Donata Cappelluto Lauravita Cappelluto, che dopo aver lavorato insieme per molti anni hanno deciso che la forma dello studio associato non rappresentava lo spirito della loro collaborazione e non assicurava una prospettiva adeguata ai propri collaboratori.

Lo studio assiste privati, imprenditori e imprese nella gestione di problemi di successione e gestione patrimoniale, nei rapporti con banche e istituti di credito, nella prevenzione della condotta penalmente rilevante nelle società e negli enti (D.Lgs. n. 231/01), e nella difesa tecnica nel processo penale, in particolare per imputazioni da reati di «colletti bianchi».

La sede storica dello studio si trova nel centro di Parma.


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Il contributo di Donata Giorgia Cappelluto e Urbano Rosa su Il Libero Professionista – Reloaded

Riportiamo di seguito un estratto dell’articolo redatto dagli avvocati Donata Giorgia Cappelluto e Urbano Rosa, pubblicato sulla rivista Il Libero Professionista – Reloaded

Tanto rumore per nulla

Le modifiche apportate dalla riforma Nordio al Codice penale e al Codice di procedura penale sembrano rispondere più istanze di carattere ideologico che sostanziale. Apprezzabile l’impostazione garantista di alcune norme, ma gli annosi problemi che affliggono il nostro sistema penale restano in piedi

Tanto rumore per nulla. Il clamore suscitato dalla riforma Nordio con il suo leggero lifting all’ordinamento giudiziario e, in particolare, al Codice penale e al Codice di procedura penale è ingiustificato rispetto alla reale ricaduta applicativa della norma, che pare rispondere più ad istanze di carattere ideologico che sostanziale. Ben lungi dal rappresentare la soluzione degli annosi problemi che affliggono il nostro sistema penale, le norme in esame contengono tuttavia alcune modifiche apprezzabili in un’ottica maggiormente garantista del nostro ordinamento.

Abuso d’ufficio a impatto zero

L’intervento sull’art.323 c.p. (l’abuso d’ufficio) va invero ad incidere su un reato le cui statistiche raccontano essere oggetto di processi ad altissimo tasso di archiviazio- ne (oltre l’85% nel 2021). Si tratta infatti di un reato per sua natura difficile da provare, anche perché le soglie di pena previste (da uno a quattro anni di reclusione) non consentono l’uso delle intercettazioni. Senza considerare che tale tendenza all’archiviazione è comunque inevitabilmente destinata ad accentuarsi in ragione dell’entrate in vigore della riforma Cartabia e di quella “ragionevole previsione di condanna” che sola potrà giustificare il rinvio a giudizio. Nonostante le recenti riforme che hanno interessato l’abuso d’ufficio, il reato in questione continuava ad essere oggetto di richieste di rinvio a giudizio, da parte delle Procure, argomentate in ragione del solo e sovente opinabile accertamento del semplice errore amministrativo, senza alcuna indagine sull’elemento psico- logico del reato (invece determinante), ragione per cui la quasi totalità dei procedimenti penali si concludeva con l’assoluzione dell’imputato, talvolta perché il reato non sussisteva.


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Il contributo di Donata Giorgia Cappelluto sulla newsletter di ANF

Riportiamo un estratto dell’articolo dell’avv. Donata Giorgia Cappelluto sulla rivista ANF – Newsletter

Riforma Nordio: non c’è pace
per gli attori della “giustizia penale”

Solo all’inizio dell’anno corrente gli addetti ai lavori hanno iniziato a misurarsi con le nuove disposizioni introdotte dalla c.d. riforma Cartabia, funzionali a perseguire il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi europei del PNRR quan- do, il 15 giugno ultimo scorso, il Governo Meloni ha approvato il disegno di legge recante le modifiche al Codice penale, al Codice di procedura penale e all’Ordinamento giudiziario, più noto come la “grande riforma del Guardasigilli Carlo Nordio”.

Benchè nel corso della medesima seduta (n. 39/2023) il Ministro avesse chiesto una sollecita calendarizzazione del disegno di legge in questione, esso ha già subito una brusca battuta di arresto a causa del livello di tensione raggiunto in questa calda estate nello scontro tra potere esecutivo e potere giudiziario. Pertanto, l’iter del disegno di legge, presentato alle Camere il 20 luglio, dopo la firma del Presidente della Repubblica, è stato già aggiornato a settembre dopo la pausa estiva.

Comunque vada, se la Riforma Nordio – decisiva per l’attuazione del program- ma di Governo – dovesse essere approvata con il voto di fiducia, il suo impatto nel settore della giustizia penale sarebbe, diversamente da quanto annuncia- to, piuttosto modesto!

Le modifiche al codice penale

Le modifiche proposte in tema di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) e traffico di in- fluenze illecite (art. 346 bis c.p.) sono destinate a deflazionare una percentuale del contenzioso penale davvero marginale atteso l’ambito di applicazione pos- sibile delle due norme in questione.

Trattasi di norme incriminatrici di chiusura dello “statuto” dei delitti contro la P.A., disciplinati nel libro II – titolo II – del codice penale che si applicano in casi del tutto residuali in cui le condotte punibili, poste in essere contro la P.A., sfuggono alla casistica (tassativa) sussumibile nelle ipotesi di reato tradizionali e più gravi.


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