Con il Codice della Crisi d’impresa si avrà un inevitabile impatto sulle norme penali fallimentari.
Manuela Mulas, socia fondatrice di MC2 Legali, al Convegno “Bancarotta in trasformazione” è intervenuta sul caso della bancarotta riparata, istituto di creazione giurisprudenziale.
Il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza è entrato in vigore, dopo diverse vicissitudini il 15 luglio 2022 e, a parere della maggior parte dei commentatori, determinerà una vera rivoluzione copernicana nel diritto di impresa.
La legge fallimentare del 1942 si reggeva su una sorta di equilibrio del terrore. La crisi era considerata come un fenomeno episodico e non sistemico nella vita dell’impresa ed era ritenuta frutto di incapacità o peggio di condotte colpevoli dell’imprenditore.
La soluzione migliore per non dire l’unica consisteva nella liquidazione dell’impresa che aveva due scopi:
Con il Codice della crisi d’impresa la materia è stata ripensata in modo radicale. La crisi è ora considerata un fenomeno fisiologico, benché patologico, del mondo degli affari e alla soddisfazione del ceto creditorio si affianca un nuovo obiettivo, quello di garantire la continuità aziendale.
L’idea di fondo è che la liquidazione amministrativa dell’impresa rappresenti l’extrema ratio e che gli interessi dei diversi stakeholder di un’impresa in difficoltà possano essere meglio garantiti da misure che ne consentano la sopravvivenza.
Da questa grande riforma, tuttavia, sono rimasti esclusi i reati fallimentari, se non per minime modifiche.
L’effetto dell’esclusione è che la flessibilità che caratterizza istituti fondamentali del codice della crisi rischia di venire schiacciata dal rigore dei reati fallimentari.
A questa carenza ha in parte posto rimedio la Giurisprudenza, intervenuta più volte con interpretazioni che tengono conto del mutato approccio alla crisi d’impresa e lo stesso Legislatore, nella scorsa legislatura, prima dell’entrata in vigore del cd. Codice della Crisi, si era posto il problema dell’armonizzazione delle norme penali fallimentari con le nuove norme civilistiche costituendo una apposita commissione, presieduta dal Dott. Renato Giuseppe Bricchetti
Numerose sentenze si sono occupate della fattispecie della bancarotta riparata facendo diventare la fattispecie l’esempio più significativo di istituto di creazione giurisprudenziale in materia penale fallimentare.
La bancarotta riparata si configura quando la sottrazione dei beni di chi commette bancarotta, viene annullata da un’attività di segno contrario, che reintegra il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento.
In questo modo si annulla il pregiudizio per i creditori e anche solo la potenzialità di un danno per loro.
Per configurare la bancarotta “riparata” non è necessaria la restituzione del singolo bene sottratto, ma un’attività di integrale reintegrazione del patrimonio anteriore alla declaratoria di fallimento.
È onere dell’amministratore che si è reso responsabile di atti di distrazione e sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, provare l’esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati (In questo senso si era già espressa la Suprema Corte Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017).
Il Legislatore si è posto lo scopo di normativizzarla e per questo [la Ministra Cartabia] ha a suo tempo istituito la cd. «Commissione Bricchetti» il cui lavoro (consegnato il 10.06.2022) però ha subito una sorte non chiara.
Nella primavera 2023 il Ministro Nordio ha ricostituito la Commissione Bricchetti che con un ultimo elaborato consegnato al Ministro, ha confermato quella originaria volontà e ha ripreso il consolidato orientamento giurisprudenziale. Il testo non è ancora disponibile ma il Presidente Bricchetti ha avuto modo di dichiarare nel corso di un seminario tenutosi il 19 settembre u.s. che era volontà della Commissione dare vita a un sistema riparativo chiaro, efficace e funzionale a tutela dei creditori, confermando che una condotta riparatoria che intervenga prima della sentenza dichiarativa del fallimento impedirebbe la contestazione del reato di bancarotta.