È già l’ora della RIFORMA della “Riforma Cartabia!
di Donata Giorgia Cappelluto
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Ad un anno di distanza dall’entrata in vigore della Riforma Cartabia nel processo penale è forse giunta l’ora di formulare alcune riflessioni all’esito delle prime interpretazioni ed applicazioni delle nuove norme introdotte nel codice di rito con il d.lgs. 150/2022 (in attuazione della legge delega n. 134/2021).
Come noto, la Riforma in questione è stata varata dal legislatore italiano in quanto funzionale ad evadere gli obiettivi di efficienza e competitività del “sistema giustizia” concordati dall’Italia durante il Governo Conte 1 per l’attuazione del PNRR.
In particolare, l’agenda legale prevista dal PNRR prevede la concessione al nostro paese di ingenti investimenti programmati a condizione che lo Stato italiano sia in grado di perseguire, entro l’anno 2026, i seguenti risultati:
- riduzione del tempo di durata del giudizio
- abbattimento dell’arretrato giurisdizionale
- digitalizzazione del processo
- riqualificazione del patrimonio immobiliare giudiziario.
A tal fine l’entrata in vigore della Riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022), per intuibili ragioni efficientistiche ed in attuazione della legge delega (n. 134/2021), si prefigge di realizzare, in linea con gli obiettivi concordati:
- la deflazione dei tempi del processo penale del 25% entro il 2026
- la salvaguardia dei diritti delle parti
- il rafforzamento delle garanzie del giusto processo
- il soddisfacimento delle esigenze di efficienza ed efficacia dell’accertamento processuale.
Da tale premessa ne deriva che le modifiche attuate dalla Riforma – di fatto – riguardano l’intero processo penale, ivi compresa la fase (eventuale) dell’esecuzione penale.
All’esito di un primo bilancio emerge che sono stati introdotti numerosi e nuovi istituti, certamente di pregio, quali ad esempio i rimedi giurisdizionali all’eventuale stasi del procedimento penale in caso di inerzia del p.m., istituti di incentivazione all’accesso ai procedimenti alternativi secondo un modello del processo penale a c.d. “a trazione anteriore”, una inedita disciplina organica in tema di giustizia riparativa in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato accessibile sempre (prima, in pendenza e dopo il processo durante la fase dell’esecuzione penale).
La riforma, in attuazione della doverosa transizione digitale e telematica del processo, introduce poi a tal fine norme specifiche in tema di formazione, deposito, notificazione e comunicazione degli atti, e in materia di registrazioni audiovisive e partecipazione a distanza ad alcuni atti del procedimento o all’udienza.
Da ultimo essa interviene in modo decisamente apprezzabile sul sistema sanzionatorio penale ampliando il novero delle sanzioni possibili, con particolare riguardo a quelle sostitutive, con l’intento di rendere la loro esecuzione più certa, effettiva e tempestiva rispetto alla data di formazione del giudicato penale; da cui potrà derivare, nel lungo periodo, anche una rinnovata ed ampliata funzione general-preventiva della pena.
Uguale apprezzamento si può esprimere anche in relazione alle nuove norme introdotte in materia di recupero “coattivo” delle pene pecuniarie, in relazione alle quale le percentuali di recupero da parte del bilancio Statale erano veramente irrisorie pari mediamente al 4,2% e oggetto di censura specifica da parte della Corte dei Conti nel 2017.
Un disegno non unitario del legislatore In sintesi gli interventi, segnalati pur di pregio da parte della scrivente, rivelano il disegno del legislatore non unitario di:
- da un lato, voler aumentare l’efficienza del “sistema della giustizia penale” anche in chiave moderna, secondo la nuova cultura informatica, che esige un’imponente ed efficace opera di dematerializzazione degli atti penali del processo per aumentare sia gli standards di efficienza e sia per favorire in prospettiva l’applicazione dell’intelligenza artificiale anche al settore della giustizia penale;
- dall’altro, purtroppo, rivela che il raggiungimento delle performances, richieste dall’agenda europea all’Italia, si è deciso di perseguirlo anche a scapito della protezione dei diritti fondamentali e delle garanzie del giusto processo previste dall’art. 111 Cost. In proposito non è possibile sottacere che la Riforma Cartabia, in nome dell’asserita efficienza in concreto perseguita, ha inteso ridurre i tempi del processo penale ad ogni costo “a prescindere dai mezzi impiegati”.
Pertanto, in un’ottica di compromesso, la Riforma si contraddistingue anche per alcuni punti “molto deboli”, che tradiscono l’obiettivo, invece asserito, di voler rafforzare le garanzie difensive in coerenza con le regole del giusto processo.
L’introduzione della nuova regola di giudizio, per scrutinare l’esercizio dell’azione penale ai fini del rinvio a giudizio e/o archiviazione, secondo la nuova formula della “ragionevole previsione di condanna”, disciplinata dagli artt. 408 comma 1 c.p.p., artt. 425 c.p.p. e art. 554 ter c.p.p., in base alla fase processuale, individua un nuovo criterio valutativo per vagliare – appunto in via preliminare – se la piattaforma probatoria acquisita in pendenza delle indagini, dalla P.G. o dal P.M., deponga o meno a favore della probabilità che il processo si concluderà con la condanna dell’incolpato . Non può che trattarsi di un giudizio prognostico ex ante, invero assai discutibile, in quanto fondato e formulato sulla scorta di prova/e, non ancora effettivamente raggiunta/e, nella convinzione che ciò si raggiungerà all’esito del giudizio).
Ciò premesso ne deriva che una previsione normativa di tal fatta, c.d. regola di giudizio “di tipo dinamico”, rischia di prestare il fianco ad operazioni interpretative molto discrezionali e di dubbia legalità sotto il profilo del principio di uguaglianza, prestandosi a possibili disparità di trattamento degli incolpati. In sintesi, la nuova regola “per filtrare a ribasso” il numero dei procedimenti che approderà alla fase dibattimentale, finisce per attribuire lo stigma sociale derivante dalla sentenza penale di condanna sulla base di indagini, acquisite in modo unilaterale dall’Ufficio (PM e PG) senza alcun contraddittorio al mero fine di garantire la funzionalità del nuovo sistema processuale penale in chiave efficientista.
Il tema delle impugnazioni Altro intervento di dubbio pregio che contraddistingue la Riforma Cartabia riguarda il tema delle impugnazioni: la disciplina dell’appello in primis, stante la novella introdotta dell’art. 581 c.p.p., e a stretto giro estesa, per via giurisprudenziale, anche al ricorso per cassazione (art. 606 c.p.p.).
Il criterio di specificità codificato dall’art. 581 c.p.p. nuova formulazione, diciamo pure in continuità con la Riforma Orlando del 2017, ha inteso deflazionare in modo drastico i giudizi di appello, introducendo un freno agli atti di gravame non specifici, privi di censure puntuali e critiche esplicite, rispetto alla motivazione della sentenza di primo grado prevedendo espressamente la sanzione processuale dell’inammissibilità.
In sintesi, la tagliola dell’inammissibilità è prevista ogni qualvolta il difensore di turno ometta di misurarsi con le ragioni, di fatto e di diritto, esposte dal Giudice nella parte motiva della sentenza senza contestualizzare le critiche per “capi” e per “punti” – i motivi di gravame – al contenuto delle decisioni impugnata.
Per ragioni sempre di matrice efficientista il legislatore ha di fatto introdotto un doppio scrutinio in sede di appello aggiungendo un vaglio di ammissibilità preliminare avente ad oggetto la ragionevole probabilità di accoglimento dell’impugnazione o, nella migliore delle ipotesi, la correttezza strutturale dei motivi di appello enunciati dalla difesa per confutare la valutazione del giudice redattore.
In tema di impugnazioni il legislatore intende conseguire in modo ancora più performante la deflazione dei numeri dei processi penali con altri due interventi chirurgici operati sull’art. 581 c.p.p. c.1 bis e 1 ter, prescrivendo sempre la sanzione dell’inammissibilità dell’atto di impugnazione, nei casi in cui il difensore non sia munito di mandato specifico (conferito dopo l’emissione della sentenza da impugnare) o l’atto di appello non contenga la dichiarazione espressa di elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.
Poiché la medesima sanzione è estesa al caso di ricorso per cassazione, non sottoscritto da difensore iscritto all’albo speciale per patrocinare innanzi alle giurisdizioni superiori (art. 613 c.p.p.), pare del tutto evidente che la previsione di un mandato autonomo per impugnare e la mancata previsione, della possibilità di sottoscrivere in proprio i motivi di ricorso in cassazione per il ricorrente condannato, rischia di compromettere l’esercizio del diritto di difesa degli incolpati proprio più deboli economicamente, i quali dovranno – loro malgrado – rinunciare a difendersi con buona pace “dell’asserito rafforzamento delle garanzie difensive” .
Da ultimo l’efficienza del sistema si completa con la cartolarizzazione ordinaria dei giudizi di impugnazione e con la previsione dell’istituto, inedito per il processo penale italiano fino alla Riforma Bonafede, della c.d. prescrizione processuale (art. 344 bis c.p.p.) pur emendata al comma 5. La Riforma Cartabia conferma la previsione del diritto dell’accusato ad essere giudicato in un termine di durata ragionevole prefissato; la sua inosservanza, proroghe comprese, determina la sanzione della improcedibilità dell’azione penale in grado di appello e di legittimità.
Il diritto, assoluto ed intangibile, alla ragionevole durata del processo penale giustifica anche la previsione della sanzione dell’inutilizzabilità degli atti di indagine acquisiti oltre la scadenza del termine di durata massima delle indagini preliminari e della disciplina della retrodatazione dell’iscrizione della notitia criminis nel registro delle notizie di reato (art. 335 c.p.p.) per coerenza e, ancora, efficienza del sistema I punti di debolezza della Riforma, finora esposti, hanno determinato molti operatori del diritto e la comunità scientifica a dibattere già all’indomani della sua entrata in vigore (1.01.2023) della c.d. RIFORMA della “Riforma Cartabia” atteso che il procedimento penale attiene alla cognizione del reato, la sua conoscenza e il suo accertamento sono questioni molto complesse, spesso proprio nei casi più gravi non suscettibili di essere incasellati in una logica numerica, statistica, meccanica o automatizzata; per questa ragione è funzionale all’esercizio dell’azione penale e della giurisdizione un tasso di discrezionalità necessaria, irrinunciabile, che contemperi l’esigenza dell’accertamento con quella della repressione e non sacrifichi la ricerca della verità, come la tutela dei diritti violati o offesi in nome della logica dell’efficientismo.
L’auspicio è che per il futuro l’intelligenza artificiale sia presto a servizio degli operatori del diritto per coadiuvarli a rendere si performante il sistema giustizia, ma non a scapito delle esigenze difensive e delle persone accusate e – soprattutto – delle persone offese e dei loro prossimi congiunti. Il rafforzamento delle garanzie difensive non può che essere proporzionato alla gravità ed alla qualità degli interessi e diritti contrapposti da bilanciare nell’esercizio dell’azione penale e della funzione giurisdizionale. I difensori sono i paladini dei diritti e le sentinelle del corretto esercizio della funzione giurisdizionale; per questo devono da una parte formarsi adeguatamente e avere consapevolezza del proprio ruolo e della loro funzione sociale, dall’altra favorire la conoscenza dei problemi o delle criticità del nuovo “sistema giustizia penale”, contribuendo ad individuare le soluzioni o le alternative possibili.
L’ignoranza è il primo ostacolo che si incontra nella tutela dei diritti degli assistiti e della risoluzione dei problemi.