Una nuova sentenza della Corte di Cassazione esclude il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale in un caso specifico: l’attività del fallito prosegue grazie a una nuova società condotta dalla moglie.
La bancarotta fraudolenta patrimoniale
La bancarotta fraudolenta è un reato fallimentare previsto dall’art. 322 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (già articolo 216 della legge fallimentare).
La legge definisce tre diverse fattispecie per questo reato:
- bancarotta documentale che si verifica quando la condotta dell’imprenditore impedisce la ricostruzione contabile della reale situazione dell’impresa;
- bancarotta patrimoniale che è contestata quando l’imprenditore ha utilizzato i fondi della società per scopi estranei all’attività di impresa (distrazione), oppure ha «occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni», oppure ancora ha esposto o riconosciuto passività inesistenti allo scopo di danneggiare i creditori della società fallita;
- bancarotta preferenziale che si configura quando l’imprenditore fallito esegue pagamenti o simula titoli di prelazione al fine di favorire alcuni creditori ai danni di altri.
La bancarotta patrimoniale viene addebitata al fallito che prosegue la propria attività sotto altra forma se trasferisce illecitamente ad un’altra persona o entità fondi e rapporti giuridicamente ed economicamente valutabili dell’impresa originale.
Nel caso di cessione di ramo d’azienda, ad esempio, viene riconosciuta la “distrazione” dei beni aziendali quando il trasferimento ha ad oggetto l’azienda stessa, come definita dall’articolo 2555 del Codice civile.
Possono essere oggetti di distrazione anche:
- l’avviamento commerciale dell’impresa;
- la clientela, se sviata con l’ingiustificata cessione di contratti.
Una nuova sentenza della Cassazione sulla bancarotta patrimoniale
La Suprema Corte di Cassazione applica rigorosamente questi principi. Per questo motivo è giunta, con la recente sentenza n. 23577 del 12 giugno 2024, a escludere il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale nell’ipotesi che l’imprenditore continui la medesima attività di impresa con una società diversa amministrata dalla moglie, già socia della società fallita.
Nel caso che ha dato origine alla sentenza, i due coniugi imputati, un anno prima delle dimissioni del marito, avevano avviato un’attività commerciale concorrente alla prima, lasciata fallire perché indebitata.
La Corte di Cassazione precisa che questa condotta non è sufficiente -di per sé- a integrare il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, perché non sono stati distratti beni strumentali, né merci della società fallita nè altri rapporti giuridici rilevanti.
La sentenza è particolarmente interessante per quello che afferma in tema di distrazione dell’avviamento che viene desunto dallo sviamento della clientela. La Corte infatti censura la decisione della Corte di Appello di Milano, che nella sentenza di condanna non ha individuato alcun rapporto con un solo cliente effettivamente proveniente dalla vecchia impresa, né ha indicato la prova del trasferimento di fattori di produzione.
La Cassazione ha quindi ritenuto che i coniugi non potessero essere condannati per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per l’assenza di questi requisiti.
Ha così annullato la sentenza di condanna in appello con riguardo alla bancarotta fraudolenta patrimoniale e rinviato alla Corte di secondo grado per un nuovo esame sulla scorta dei principi enunciati.