La Corte di Cassazione si è pronunciata, con la sentenza n. 23004 del 7 giugno 2024 , sulla possibilità di ammettere alla pena dell’affidamento in prova ai servizi sociali, come alternativa alla detenzione, un imputato condannato per il reato di bancarotta fraudolenta.
Nel caso affrontato dalla Cassazione, il Tribunale di sorveglianza aveva applicato la pena della detenzione domiciliare, in alternativa alla detenzione in carcere, alla persona giudicata colpevole di bancarotta fraudolenta.
Lo stesso Tribunale aveva negato invece l’affidamento in prova al servizio sociale, che il condannato aveva richiesto, per la ragione che non aveva risarcito in alcun modo il danno derivante dalla commissione del reato.
Il condannato proponeva ricorso per Cassazione lamentando la mancata valutazione dal parte del Tribunale di sorveglianza degli elementi a suo favore, tra i quali la sua capacità patrimoniale e la disponibilità a risarcire, per quanto possibile, la procedura fallimentare.
La Suprema Corte ha accolto la richiesta e ha dichiarato che può essere ammesso all’affidamento in prova ai servizi sociali colui che sia stato condannato per bancarotta fraudolenta anche se non ha risarcito la procedura fallimentare del danno causato dalla commissione del reato.
La bancarotta fraudolenta è un reato che, in passato, presupponeva la dichiarazione di fallimento. Oggi è disciplinato dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza e non più dalla legge fallimentare.
La bancarotta fraudolenta può essere commessa dall’imprenditore dichiarato in liquidazione giudiziale o da altre figure che hanno ruoli diversi e specifici all’interno della società in crisi, in quest’ultimo caso si parla di bancarotta “impropria”.
Per entrambi i reati in caso di condanna sono previste misure alternative al carcere:
Quest’ultima misura consente al condannato di espiare la pena fuori dal carcere, sotto la vigilanza dei servizi sociali che lo aiutano a superare le difficoltà del reinserimento nella società e verificano che rispetti le prescrizioni del Tribunale in ordine alla sua vita fuori dal carcere.
L’affidamento in prova può essere concesso se, in base a quanto osservato della personalità del condannato, si può ritenere che possa contribuire alla sua rieducazione ed eviti il pericolo che commetta altri reati.
Se la prova ha esito positivo, la pena si estingue, così come ogni altro effetto della condanna.
La Cassazione, nella sentenza citata, ribadisce che il giudice deve dimostrare, nella motivazione del provvedimento, di aver considerato tutti gli elementi, previsti dalla legge, che giustifichino la propria decisione di applicare o meno la misura alternativa richiesta.
Se è accertata una rilevante tendenza a commettere reati, ad esempio perché il condannato ha numerosi precedenti penali e pendenze giudiziarie, è giustificato il giudizio “prognostico” negativo sulle probabilità di successo della misura alternativa.
Per prevedere che la prova abbia esito favorevole e non vi sia pericolo che il condannato commetta altri reati, non è infatti sufficiente che manchino elementi negativi, ma sarà necessaria la presenza di elementi positivi che corroborino l’applicazione dell’affidamento ai servizi sociali.
Il risarcimento dei danni in sé non è una condizione per concedere o negare l’affidamento in prova ai servizi sociali; il Tribunale può legittimamente valutare l’ingiustificata indisponibilità del condannato a risarcire la vittima ma non può respingere la concessione del beneficio in parola deducendo l’assenza di segni di ravvedimento esclusivamente dal mancato risarcimento.
Nel caso in esame la Corte di Cassazione ha ritenuto che il Tribunale di sorveglianza non abbia correttamente considerato tutti gli elementi disponibili, tra cui la documentazione da cui emergeva la disponibilità del condannato a risarcire, anche parzialmente, la procedura fallimentare.