La Corte di Cassazione con la sentenza n. 37751 del 15 ottobre 2024 fa chiarezza su una questione mai affrontata prima nell’ambito della applicazione del Decreto Legislativo n. 231/2001 che riguarda la responsabilità amministrativa da reato degli enti e delle persone giuridiche.
La questione è strettamente procedurale e ha dato occasione alla Suprema Corte di affermare una serie di principi di diritto che regolano l’applicazione delle norme contenute nel D. Lgs. n. 231/2001.
La legge ha introdotto, per la prima volta in Italia, una forma di responsabilità per gli enti, tra cui rientrano le imprese e le società, che hanno tratto un vantaggio o un interesse da un reato commesso dai propri amministratori, dirigenti, dipendenti, collaboratori.
In sostanza le colpe dei singoli ricadono anche sulla società o ente, se non sono opportunamente adottate delle misure di prevenzione.
I processi di accertamento di queste responsabilità conseguono alle accuse di commissione di reati mosse nei confronti di persone che lavorano per l’ente o la società e in alcuni casi prevedono una forma più snella rispetto a quella ordinaria.
In particolare, il Pubblico Ministero, che rappresenta l’accusa, ha la facoltà e il potere di archiviare direttamente un procedimento avviato per illecito amministrativo che ritiene insussistente.
Questo potere è sottoposto solo al controllo gerarchico del procuratore generale.
Nel caso affrontato dalla Corte di Cassazione, i vertici di una cooperativa e il medico competente sono stati accusati da una dipendente per lesioni colpose a seguito di presunte violazioni delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Il Pubblico Ministero ha ritenuto che l’accusa fosse infondata e ha provveduto con un unico decreto a richiedere l’archiviazione del procedimento penale nei confronti delle persone fisiche indagate per lesioni colpose e ad archiviare la posizione della società cooperativa, provvedendo poi a trasmettere il decreto di archiviazione al Procuratore Generale della Corte di Appello, per quanto di sua competenza, limitatamente alla posizione della cooperativa, quale ente responsabile dell’illecito amministrativo da reato.
La persona offesa dal presunto reato si è opposta all’archiviazione e il Giudice, all’esito dell’udienza camerale, contrariamente a quanto richiesto dal Pubblico Ministero, ha disposto che la Procura non solo chiedesse il rinvio a giudizio dei vertici della cooperativa e del medico competente, ma anche che contestasse all’ente l’illecito amministrativo previsto dal D. Lgs 231/01.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dalla cooperativa, e annullato l’ordinanza del G.I.P. per vizio di abnormità.
L’abnormità è un vizio di creazione giurisprudenziale che può aversi in due casi:
In altri casi la Cassazione aveva ritenuto che alcuni provvedimenti eccedevano i poteri del giudice e quindi fossero abnormi, per fare alcuni esempi: l’ordine di imputazione coatta nei confronti di persona non indagata o per un reato diverso da quello per cui era stata chiesta l’archiviazione o quello relativo ad una parte di condotta oggetto di procedimento già archiviato.
Pe la Cassazione in sostanza il G.I.P. ha oltrepassato i limiti dei propri poteri e invaso la sfera di autonomia del P.M.
L’autonomia del Pubblico Ministero deriva dall’articolo 58 del D. Lgs. 231/01, che gli consente di disporre direttamente l’archiviazione, senza che il Giudice delle Indagini Preliminari abbia il potere di revocarla.
Questo potere, detto in gergo di “cestinazione”, è soggetto solo al controllo gerarchico del Procuratore Generale presso la Corte di Appello, al quale il provvedimento va trasmesso.
La ragione di questo potere si trova esplicitata nella Relazione alla pubblicazione della legge, che giustifica l’adozione di un «procedimento semplificato, senza controllo del giudice» e partecipazione della parte offesa proprio in ragione della natura amministrativa della responsabilità dell’ente.