Nuove regole per gli affitti brevi

di Lauravita Cappelluto

Le locazioni ad uso abitativo per finalità turistiche, meglio conosciute come affitti brevi, vengono additate spesso come uno dei problemi alla base della deregulation del turismo e dell’aumento dei costi degli affitti delle case.

Restano, però il modo più semplice e rapido per mettere a reddito un immobile perché non sono soggette alla marea di di regole nazionali, regionali, provinciali e comunali che regolano le strutture ricettive ed extralberghiere.

Forse non tutti ricordano che gli affitti brevi sono stati introdotti da una norma fiscale, l’art. 4 D.L. n. 50/2017, che li definisce contratti di locazione di immobili ad uso abitativo destinati alla locazione a uso turistico inferiore ai 30 giorni, stipulati da persone fisiche. La definizione può riguardare:

  • appartamenti;
  • case;
  • singole stanze.

Rientrano nella categoria affitti brevi anche i contratti che prevedono, oltre all’utilizzo dell’immobile, anche servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali.

 

Le agevolazioni normative per gli affitti brevi e le novità

L’agevolazione normativa di cui godono gli affitti brevi deriva dall’art. 53 del Codice del Turismo che stabilisce espressamene che «gli alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche, in qualsiasi luogo ubicati, sono regolati dalle disposizioni del codice civile in tema di locazione».

Sempre più pesso i proprietari o possessori degli immobili per proporsi al pubblico scelgono di rivolgersi a property manager o a piattaforme internet (ad es. Airbnb o Booking) che, oltre a pubblicizzare l’immobile e la destinazione, contando su una politica molto aggressiva di indicizzazione dei propri siti, stendono i contratti e gestiscono i pagamenti in forma elettronica e tracciabile. Quest’ultimo meccanismo rende molto difficile la pratica, prima molto diffusa, dell’evasione delle tasse sui redditi da locazione.

Tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, su impulso del Governo, sono state introdotte nuove norme per rendere più trasparente il mercato delle locazioni turistiche brevi e per contrastare le ricadute di concorrenza sleale con il settore turistico alberghiero, che è sottoposto a regole molto severe e stringenti.

L’obiettivo del Governo è duplice: da un lato, si mira a incrementare le entrate fiscali derivanti da questo settore in rapida espansione e, dall’altro, a disciplinare in modo più efficace la situazione degli affitti turistici, spesso caratterizzati da dinamiche non regolamentate.

Un impulso all’introduzione delle nuove norme è certamente derivato dal contenzioso tributario tra il colosso degli intermediari per le locazioni brevi Airbnb e l’Agenzia delle Entrate. Infatti, Airbnb ha perso un ricorso, in entrambi i gradi di giudizio, contro un provvedimento dell’Agenzia delle Entrate che contestava:

  • il mancato versamento di ritenute;
  • la mancata effettuazione delle ritenute;
  • la mancata emissione delle certificazioni uniche.

Alla causa è seguito un sequestro di ingenti somme e la vertenza si è conclusa con un accordo in base al quale la piattaforma ha versato al fisco italiano ben 576 milioni di euro in relazione agli anni fiscali dal 2017 al 2021, senza ricadute per gli host (proprietari che danno ospitalità).

Le novità più significative sono state introdotte con l’art. 13 ter del cd. Decreto Anticipi (D.L. n. 145/2023 entrato in vigore il 19/10/2023 e convertito con modifiche in Legge 191/2023 in vigore dal 17/12/2023).

Le novità riguardano:

  • l’istituzione di un Codice Identificativo Nazionale (CIN);
  • la previsione della procedura di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) per gli affitti brevi in forma imprenditoriale;
  • l’introduzione di nuovi obblighi di sicurezza;
  • l’introduzione di un regime sanzionatorio ad hoc;

Non sono ovviamente mancate le novità in materia fiscale, infatti l’art. 1 comma 63 legge di Bilancio 2024 (L. n. 213/2023 in vigore dall’1/01/2024) ha innalzata la tassazione per chi opta per la cedolare secca.

 

L’istituzione del CIN

Con la conversione del decreto nella legge citata è stata definitivamente istituito il Codice Identificativo Nazionale (Cin). Questo codice viene assegnato dal Ministero del Turismo alle unità immobiliari destinate alla locazione per fini turistici, alle unità destinate alle locazioni brevi e alle strutture turistico-ricettive alberghiere ed extralberghiere.

La procedura per l’iscrizione al CIN è automatizzata e gestita dal Ministero che sarà anche responsabile della gestione del relativo database nazionale. Una volta assegnato il CIN deve essere obbligatoriamente esposto all’esterno dello stabile in cui è collocata l’unità immobiliare o la struttura ricettiva e indicato in ogni annuncio ovunque pubblicato e comunicato.

La nuova normativa intende garantire la tutela della concorrenza e della trasparenza del mercato; il coordinamento delle informazioni, delle statistiche e dei dati informatici tra l’amministrazione statale, regionale e locale e la sicurezza del territorio e il contrasto alle pratiche irregolari nell’ospitalità e, soprattutto, all’evasione fiscale. Infatti, la mancanza del CIN espone il locatore a un maggior rischio di essere assoggettato ai controlli antievasione a cura dell’Agenzia delle Entrate d’intesa con la Guardia di Finanza.

La procedura di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA)

Chi esercita l’attività di locazione per finalità turistiche in forma imprenditoriale, direttamente o tramite intermediario, è soggetto all’obbligo di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) presso lo sportello unico delle attività produttive (SUAP) del comune del territorio in cui è svolta l’attività.

 

Nuovi obblighi di sicurezza per gli affitti brevi

Le unità immobiliari a uso abitativo oggetto di locazione per finalità turistiche, gestiste nelle forme imprenditoriali (gestione di un numero di unità immobiliari superiore a 4), devono rispettare gli standard di sicurezza degli impianti definiti dalla normativa statale e regionale vigente.

In ogni caso, quindi anche nelle ipotesi di affitti brevi gestiti in modo occasionale (fino a 4 unità immobiliari), l’immobile deve essere dotato di dispositivi per il rilevamento di gas combustibili e del monossido di carbonio funzionanti, nonché di estintori portatili (uno ogni 200 metri quadrati)

 

L’inasprimento delle sanzioni

I nuovi obblighi portano con sé specifiche sanzioni pecuniarie:

  • per la mancanza di CIN la sanzione va da € 800,00 a € 8.000,00, in relazione alle dimensioni della struttura o dell’immobile;
  • per la mancata esposizione del CIN la sanzione va da € 500,00 a € 5.000,00, in relazione alle dimensioni della struttura o dell’immobile, per ogni struttura o unità immobiliare in cui viene riscontrata la violazione. La stessa sanzione pecuniaria, accompagnata dalla rimozione immediata dell’annuncio irregolare pubblicato, è applicata in caso di mancata indicazione del CIN negli annunci;
  • per la mancata presentazione della SCIA la sanzione pecuniaria che va da 2.000 a 10.000 euro, in relazione alle dimensioni della struttura o dell’immobile;
  • in caso di esercizio in forma imprenditoriale dell’attività di locazione di unità immobiliari a uso abitatitavo prive dei requisiti di sicurezza prescritti dalla normativa statale e regionale vigente si applicano le sanzion previste dalla relativa normativa statale o regionale;
  • in caso di assenza di dispositivi di rilevazione di gas combustibili e del monossido di carbonio funzionanti e di estintori la sanzione va da € 600,00 a € 6.000,00 per ciascuna violazione accertata.

Il regime di sanzioni sopra dettagliato non trova applicazione se il fatto è già sanzionato dalla normativa regionale.

I controlli, le verifiche e l’applicazione delle sanzioni amministrative sono attribuiti al comune in cui si trova la struttura turistica-ricettiva o l’unità immobiliare locata, tramite gli organi di di polizia locale.

 

Novità fiscali e cedolare secca per gli affitti brevi

Con la Legge di Bilancio 2024 il Governo ha voluto introdurre una serie di misure per regolamentare e tassare maggiormente il settore degli affitti brevi. La principale novità è senza ombra di dubbio l’aumento dell’aliquota fiscale per la cedolare secca.

La cedolare secca prevede una tassazione in misura forfettaria. Ne può usufruire solo chi esercita l’attività di locazione di immobili a uso abitativo per finalità turistiche in forma occasionale e quindi chi gestisce fino a un massimo di quattro immobili.

Dal 1/01/2024 l’aliquota è passata dal 21% al 26% per i redditi derivanti da affitti brevi di più di un immobile per periodo di imposta; l’aliquota è rimasta al 21% per chi affitta una sola unità abitativa.

Va da sé che chi esercità l’attività di locazione turistica per periodi brevi in forma imprenditoriale non può optare per la cedolare secca ma è sottoposto al regime ordinario e la misura della tassazione dipende dallo scaglione di reddito IRPEF nel quale si è ricompresi.

Donata Giorgia Cappelluto alla tavola rotonda di Ravenna sulle disparità di genere

Affrontare le disparità di genere
strategie e soluzioni per l’uguaglianza nelle professioni giuridiche
Ravenna, 18 marzo 2024 ore 15,00
Sala convegni Autorità Portuale Ravenna

L’avvocata Donata Giorgia Cappelluto, socia fondatrice di MC2 Legali s.t.a. coop a r.l., è invitata a portare la sua testimonianza come «case history» di successo, alla tavola rotonda promossa e organizzata dal Consiglio dell’Ordine delle Avvocate e degli Avvocati di Ravenna, Comitato per le Pari Opportunità e dalla Fondazione Forense Ravennate.

 

Programma dell’evento

Ore 15,00 Saluti
Daniele Rossi, Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico centro settentrionale (AdSP);
Mauro Brighi – avvocato, Direttore Fondazione Forense Ravennate ;
Sonia Lama – avvocata, Presidente C.P.O. presso il Consiglio dell’Ordine di Ravenna.

Coordinamento di  Cristina Federici e Mara Ossani, componenti del Comitato Pari Opportunità.

Interventi:

  • dott.ssa Sonia Alvisi, Consigliera Regionale di Parità dell’Emilia Romagna;
  • avv. Laura Massaro, Delegata Organismo Congressuale Forense;
  • avv. Paola Carpi, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Ravenna;
  • avv. Viola Bravi, Presidente AIGA, sez. Ravenna
  • avv. Paola Parigi, consulente marketing e comunicazione
  • avv. Donata Giorgia Cappelluto Foro di Parma, socia fondatrice della cooperativa tra avvocate MC2 legali – testimonial e «case history»

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Ravenna ha riconosciuto all’evento 3 crediti di cui 1 in materia obbligatoria validi per la formazione forense.

Il gender gap nelle professioni legali rappresenta una sfida persistente e diffusa anche nel nostro Paese. Nonostante i progressi compiuti verso l’uguaglianza di genere e la progressiva femminilizzazione delle professioni di giudice e avvocato, le donne sono ancora sottorappresentate nelle posizioni di leadership degli studi e soprattutto faticano a conciliare i ritmi della vita personale con quelli dell’impegno professionale.

Le ragioni sono molte:

  • stereotipi di genere profondamente radicati;
  • mancanza di supporto specifico per le donne nella crescita professionale;
  • discriminazione implicita e esplicita;
  • difficoltà nel conciliare carriera e vita familiare.

Affrontare la disparità di genere nelle professioni legali richiede sforzi concertati da parte delle istituzioni, delle organizzazioni professionali e della società nel suo insieme.

Il modello cooperativo rappresenta certamente un primo passo verso la creazione di nuove forme organizzative del lavoro delle professioniste legali che solo attraverso un maggiore coinvolgimento nelle scelte dello Studio potranno superare il gap di genere.

Donata Giorgia Cappelluto firma un articolo sul periodico dell’Associazione Nazionale Forense

È già l’ora della RIFORMA della “Riforma Cartabia!

Donata Giorgia Cappelluto

 

 

 

di Donata Giorgia Cappelluto

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Ad un anno di distanza dall’entrata in vigore della Riforma Cartabia nel processo penale è forse giunta l’ora di formulare alcune riflessioni all’esito delle prime interpretazioni ed applicazioni delle nuove norme introdotte nel codice di rito con il d.lgs. 150/2022 (in attuazione della legge delega n. 134/2021).

Come noto, la Riforma in questione è stata varata dal legislatore italiano in quanto funzionale ad evadere gli obiettivi di efficienza e competitività del “sistema giustizia” concordati dall’Italia durante il Governo Conte 1 per l’attuazione del PNRR.

In particolare, l’agenda legale prevista dal PNRR prevede la concessione al nostro paese di ingenti investimenti programmati a condizione che lo Stato italiano sia in grado di perseguire, entro l’anno 2026, i seguenti risultati:

  • riduzione del tempo di durata del giudizio
  • abbattimento dell’arretrato giurisdizionale
  • digitalizzazione del processo
  • riqualificazione del patrimonio immobiliare giudiziario.

A tal fine l’entrata in vigore della Riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022), per intuibili ragioni efficientistiche ed in attuazione della legge delega (n. 134/2021), si prefigge di realizzare, in linea con gli obiettivi concordati:

  • la deflazione dei tempi del processo penale del 25% entro il 2026
  • la salvaguardia dei diritti delle parti
  • il rafforzamento delle garanzie del giusto processo
  • il soddisfacimento delle esigenze di efficienza ed efficacia dell’accertamento processuale.

Da tale premessa ne deriva che le modifiche attuate dalla Riforma – di fatto – riguardano l’intero processo penale, ivi compresa la fase (eventuale) dell’esecuzione penale.

All’esito di un primo bilancio emerge che sono stati introdotti numerosi e nuovi istituti, certamente di pregio, quali ad esempio i rimedi giurisdizionali all’eventuale stasi del procedimento penale in caso di inerzia del p.m., istituti di incentivazione all’accesso ai procedimenti alternativi secondo un modello del processo penale a c.d. “a trazione anteriore”, una inedita disciplina organica in tema di giustizia riparativa in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato accessibile sempre (prima, in pendenza e dopo il processo durante la fase dell’esecuzione penale).

La riforma, in attuazione della doverosa transizione digitale e telematica del processo, introduce poi a tal fine norme specifiche in tema di formazione, deposito, notificazione e comunicazione degli atti, e in materia di registrazioni audiovisive e partecipazione a distanza ad alcuni atti del procedimento o all’udienza.

Da ultimo essa interviene in modo decisamente apprezzabile sul sistema sanzionatorio penale ampliando il novero delle sanzioni possibili, con particolare riguardo a quelle sostitutive, con l’intento di rendere la loro esecuzione più certa, effettiva e tempestiva rispetto alla data di formazione del giudicato penale; da cui potrà derivare, nel lungo periodo, anche una rinnovata ed ampliata funzione general-preventiva della pena.

Uguale apprezzamento si può esprimere anche in relazione alle nuove norme introdotte in materia di recupero “coattivo” delle pene pecuniarie, in relazione alle quale le percentuali di recupero da parte del bilancio Statale erano veramente irrisorie pari mediamente al 4,2% e oggetto di censura specifica da parte della Corte dei Conti nel 2017.

Un disegno non unitario del legislatore In sintesi gli interventi, segnalati pur di pregio da parte della scrivente, rivelano il disegno del legislatore non unitario di:

  • da un lato, voler aumentare l’efficienza del “sistema della giustizia penale” anche in chiave moderna, secondo la nuova cultura informatica, che esige un’imponente ed efficace opera di dematerializzazione degli atti penali del processo per aumentare sia gli standards di efficienza e sia per favorire in prospettiva l’applicazione dell’intelligenza artificiale anche al settore della giustizia penale;
  • dall’altro, purtroppo, rivela che il raggiungimento delle performances, richieste dall’agenda europea all’Italia, si è deciso di perseguirlo anche a scapito della protezione dei diritti fondamentali e delle garanzie del giusto processo previste dall’art. 111 Cost. In proposito non è possibile sottacere che la Riforma Cartabia, in nome dell’asserita efficienza in concreto perseguita, ha inteso ridurre i tempi del processo penale ad ogni costo “a prescindere dai mezzi impiegati”.

Pertanto, in un’ottica di compromesso, la Riforma si contraddistingue anche per alcuni punti “molto deboli”, che tradiscono l’obiettivo, invece asserito, di voler rafforzare le garanzie difensive in coerenza con le regole del giusto processo.

L’introduzione della nuova regola di giudizio, per scrutinare l’esercizio dell’azione penale ai fini del rinvio a giudizio e/o archiviazione, secondo la nuova formula della “ragionevole previsione di condanna”, disciplinata dagli artt. 408 comma 1 c.p.p., artt. 425 c.p.p. e art. 554 ter c.p.p., in base alla fase processuale, individua un nuovo criterio valutativo per vagliare – appunto in via preliminare – se la piattaforma probatoria acquisita in pendenza delle indagini, dalla P.G. o dal P.M., deponga o meno a favore della probabilità che il processo si concluderà con la condanna dell’incolpato . Non può che trattarsi di un giudizio prognostico ex ante, invero assai discutibile, in quanto fondato e formulato sulla scorta di prova/e, non ancora effettivamente raggiunta/e, nella convinzione che ciò si raggiungerà all’esito del giudizio).

Ciò premesso ne deriva che una previsione normativa di tal fatta, c.d. regola di giudizio “di tipo dinamico”, rischia di prestare il fianco ad operazioni interpretative molto discrezionali e di dubbia legalità sotto il profilo del principio di uguaglianza, prestandosi a possibili disparità di trattamento degli incolpati. In sintesi, la nuova regola “per filtrare a ribasso” il numero dei procedimenti che approderà alla fase dibattimentale, finisce per attribuire lo stigma sociale derivante dalla sentenza penale di condanna sulla base di indagini, acquisite in modo unilaterale dall’Ufficio (PM e PG) senza alcun contraddittorio al mero fine di garantire la funzionalità del nuovo sistema processuale penale in chiave efficientista.

Il tema delle impugnazioni Altro intervento di dubbio pregio che contraddistingue la Riforma Cartabia riguarda il tema delle impugnazioni: la disciplina dell’appello in primis, stante la novella introdotta dell’art. 581 c.p.p., e a stretto giro estesa, per via giurisprudenziale, anche al ricorso per cassazione (art. 606 c.p.p.).

Il criterio di specificità codificato dall’art. 581 c.p.p. nuova formulazione, diciamo pure in continuità con la Riforma Orlando del 2017, ha inteso deflazionare in modo drastico i giudizi di appello, introducendo un freno agli atti di gravame non specifici, privi di censure puntuali e critiche esplicite, rispetto alla motivazione della sentenza di primo grado prevedendo espressamente la sanzione processuale dell’inammissibilità.

In sintesi, la tagliola dell’inammissibilità è prevista ogni qualvolta il difensore di turno ometta di misurarsi con le ragioni, di fatto e di diritto, esposte dal Giudice nella parte motiva della sentenza senza contestualizzare le critiche per “capi” e per “punti” – i motivi di gravame – al contenuto delle decisioni impugnata.

Per ragioni sempre di matrice efficientista il legislatore ha di fatto introdotto un doppio scrutinio in sede di appello aggiungendo un vaglio di ammissibilità preliminare avente ad oggetto la ragionevole probabilità di accoglimento dell’impugnazione o, nella migliore delle ipotesi, la correttezza strutturale dei motivi di appello enunciati dalla difesa per confutare la valutazione del giudice redattore.

In tema di impugnazioni il legislatore intende conseguire in modo ancora più performante la deflazione dei numeri dei processi penali con altri due interventi chirurgici operati sull’art. 581 c.p.p. c.1 bis e 1 ter, prescrivendo sempre la sanzione dell’inammissibilità dell’atto di impugnazione, nei casi in cui il difensore non sia munito di mandato specifico (conferito dopo l’emissione della sentenza da impugnare) o l’atto di appello non contenga la dichiarazione espressa di elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.

Poiché la medesima sanzione è estesa al caso di ricorso per cassazione, non sottoscritto da difensore iscritto all’albo speciale per patrocinare innanzi alle giurisdizioni superiori (art. 613 c.p.p.), pare del tutto evidente che la previsione di un mandato autonomo per impugnare e la mancata previsione, della possibilità di sottoscrivere in proprio i motivi di ricorso in cassazione per il ricorrente condannato, rischia di compromettere l’esercizio del diritto di difesa degli incolpati proprio più deboli economicamente, i quali dovranno – loro malgrado – rinunciare a difendersi con buona pace “dell’asserito rafforzamento delle garanzie difensive” .

Da ultimo l’efficienza del sistema si completa con la cartolarizzazione ordinaria dei giudizi di impugnazione e con la previsione dell’istituto, inedito per il processo penale italiano fino alla Riforma Bonafede, della c.d. prescrizione processuale (art. 344 bis c.p.p.) pur emendata al comma 5. La Riforma Cartabia conferma la previsione del diritto dell’accusato ad essere giudicato in un termine di durata ragionevole prefissato; la sua inosservanza, proroghe comprese, determina la sanzione della improcedibilità dell’azione penale in grado di appello e di legittimità.

Il diritto, assoluto ed intangibile, alla ragionevole durata del processo penale giustifica anche la previsione della sanzione dell’inutilizzabilità degli atti di indagine acquisiti oltre la scadenza del termine di durata massima delle indagini preliminari e della disciplina della retrodatazione dell’iscrizione della notitia criminis nel registro delle notizie di reato (art. 335 c.p.p.) per coerenza e, ancora, efficienza del sistema I punti di debolezza della Riforma, finora esposti, hanno determinato molti operatori del diritto e la comunità scientifica a dibattere già all’indomani della sua entrata in vigore (1.01.2023) della c.d. RIFORMA della “Riforma Cartabia” atteso che il procedimento penale attiene alla cognizione del reato, la sua conoscenza e il suo accertamento sono questioni molto complesse, spesso proprio nei casi più gravi non suscettibili di essere incasellati in una logica numerica, statistica, meccanica o automatizzata; per questa ragione è funzionale all’esercizio dell’azione penale e della giurisdizione un tasso di discrezionalità necessaria, irrinunciabile, che contemperi l’esigenza dell’accertamento con quella della repressione e non sacrifichi la ricerca della verità, come la tutela dei diritti violati o offesi in nome della logica dell’efficientismo.

L’auspicio è che per il futuro l’intelligenza artificiale sia presto a servizio degli operatori del diritto per coadiuvarli a rendere si performante il sistema giustizia, ma non a scapito delle esigenze difensive e delle persone accusate e – soprattutto – delle persone offese e dei loro prossimi congiunti. Il rafforzamento delle garanzie difensive non può che essere proporzionato alla gravità ed alla qualità degli interessi e diritti contrapposti da bilanciare nell’esercizio dell’azione penale e della funzione giurisdizionale. I difensori sono i paladini dei diritti e le sentinelle del corretto esercizio della funzione giurisdizionale; per questo devono da una parte formarsi adeguatamente e avere consapevolezza del proprio ruolo e della loro funzione sociale, dall’altra favorire la conoscenza dei problemi o delle criticità del nuovo “sistema giustizia penale”, contribuendo ad individuare le soluzioni o le alternative possibili.

L’ignoranza è il primo ostacolo che si incontra nella tutela dei diritti degli assistiti e della risoluzione dei problemi.

 

Bancarotta riparata e codice della crisi: un’occasione (forse) perduta 

Con il Codice della Crisi d’impresa si avrà un inevitabile impatto sulle norme penali fallimentari.
Manuela Mulas, socia fondatrice di MC2 Legali, al Convegno “Bancarotta in trasformazione” è intervenuta sul caso della bancarotta riparata,  istituto di creazione giurisprudenziale.

Il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza è entrato in vigore, dopo diverse vicissitudini il 15 luglio 2022 e, a parere della maggior parte dei commentatori, determinerà una vera rivoluzione copernicana nel diritto di impresa. 

 

La vecchia legge fallimentare e l’equilibrio del terrore 

La legge fallimentare del 1942 si reggeva su una sorta di equilibrio del terrore. La crisi era considerata come un fenomeno episodico e non sistemico nella vita dell’impresa ed era ritenuta frutto di incapacità o peggio di condotte colpevoli dell’imprenditore. 
La soluzione migliore per non dire l’unica consisteva nella liquidazione dell’impresa che aveva due scopi: 

  • soddisfare, per quanto possibile in parti uguali i creditori sociali; 
  • espellere del mondo degli affari il fallito è la sua impresa.  

Con il Codice della crisi d’impresa la materia è stata ripensata in modo radicale. La crisi è ora considerata un fenomeno fisiologico, benché patologico, del mondo degli affari e alla soddisfazione del ceto creditorio si affianca un nuovo obiettivo, quello di garantire la continuità aziendale. 

L’idea di fondo è che la liquidazione amministrativa dell’impresa rappresenti l’extrema ratio e che gli interessi dei diversi stakeholder di un’impresa in difficoltà possano essere meglio garantiti da misure che ne consentano la sopravvivenza.  

Da questa grande riforma, tuttavia, sono rimasti esclusi i reati fallimentari, se non per minime modifiche. 

L’effetto dell’esclusione è che la flessibilità che caratterizza istituti fondamentali del codice della crisi rischia di venire schiacciata dal rigore dei reati fallimentari. 

A questa carenza ha in parte posto rimedio la Giurisprudenza, intervenuta più volte con interpretazioni che tengono conto del mutato approccio alla crisi d’impresa e lo stesso Legislatore, nella scorsa legislatura, prima dell’entrata in vigore  del cd. Codice della Crisi, si era posto il problema dell’armonizzazione delle norme penali fallimentari con le nuove norme  civilistiche  costituendo una apposita commissione, presieduta dal Dott. Renato Giuseppe Bricchetti  

  

La bancarotta riparata e il lavoro della Commissione Brichetti 

Numerose sentenze si sono occupate della fattispecie della bancarotta riparata facendo diventare la fattispecie l’esempio più significativo di istituto di creazione giurisprudenziale in materia penale fallimentare. 

La bancarotta riparata si configura quando la sottrazione dei beni di chi commette bancarotta, viene annullata da un’attività di segno contrario, che reintegra il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento. 

In questo modo si annulla il pregiudizio per i creditori e anche solo la potenzialità di un danno per loro. 

Per configurare la bancarotta “riparata” non è necessaria la restituzione del singolo bene sottratto, ma un’attività di integrale reintegrazione del patrimonio anteriore alla declaratoria di fallimento. 

È onere dell’amministratore che si è reso responsabile di atti di distrazione e sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, provare l’esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati (In questo senso si era già espressa la Suprema Corte Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017). 

Il Legislatore si è posto lo scopo di normativizzarla e per questo [la Ministra Cartabia] ha a suo tempo istituito la cd. «Commissione Bricchetti» il cui lavoro (consegnato il 10.06.2022) però ha subito una sorte non chiara. 

Nella primavera 2023 il Ministro Nordio ha ricostituito la Commissione Bricchetti che con un ultimo elaborato consegnato al Ministro,  ha confermato quella originaria volontà e ha ripreso il consolidato orientamento giurisprudenziale. Il testo non è ancora disponibile ma il Presidente Bricchetti ha avuto modo di dichiarare nel corso di un seminario tenutosi il 19 settembre u.s. che era volontà della Commissione dare vita a un sistema riparativo chiaro, efficace e funzionale a tutela dei creditori, confermando che una condotta riparatoria che intervenga prima della sentenza dichiarativa del fallimento impedirebbe la contestazione del reato di bancarotta. 

L’intervista alle fondatrici di MC2 Legali su MAG

Mc2: a Parma, una nuova coop legale

Il progetto, con un focus nel penale e nel diritto successorio e del lavoro, fa riferimento a tre avvocate che a MAG raccontano la genesi e gli obiettivi dell’iniziativa

Il focus è la gestione di problemi di successione e patrimoniali, nei rapporti con banche e istituti di credito, nella prevenzione della condotta penalmente rilevante nelle società e negli enti (D.Lgs. n. 231/01), e nella difesa tecnica nel processo penale, in particolare per imputazioni da reati di «colletti bianchi». A Parma ha da poco preso il via una nuova coop legale. Si chiama Mc2 Legali ed è stata fondata da tre avvocate: Manuela Mulas (MM), Donata (DC) e Lauravita Cappelluto (LC). MAG le ha incontrate per farsi raccontare i dettagli del progetto appena avviato.

Prima cosa il nome: bellissimo. Come l’avete scelto e, al di là del riferimento alle vostre iniziali, che messaggio vuole mandare?
MM: Il nome è il frutto di un brainstorming e di un processo di ricerca in cui siamo state guidate dal nostro consulente di immagine e comunicazione, Paris&Bold. Volevamo un nome che ci rappresentasse come un’entità peculiare nello scenario degli studi legali e che mettesse in luce la nostra attitudine a lavorare per progetti, con una forte motivazione e propensione alla originalità. Con una M e due C la scelta è caduta su MC2. Ci è sembrato che la formula più famosa della storia, quella che descrive la relatività scoperta da Albert Einstein, riuscisse appieno a definire una entità in movimento, aperta al cambiamento, alla ricerca e all’innovazione, ma anche qualcosa di estremamente serio e importante, come per noi sono le questioni che ci sottopongono i nostri clienti.

Tre avvocate e una cooperativa: la ragione di questa scelta?
DC: L’associazione professionale che io e mia sorella Lauravita avevamo e gestivamo non presentava vantaggi particolari, né dal punto di vista organizzativo, né dal punto di vista fiscale e ci è sembrata obsoleta quando, dopo molti anni di collaborazione con Manuela, è maturata spontaneamente l’idea di includerla nella compagine sociale. Lo strumento dell’associazione professionale è inadatto a una gestione dinamica, mentre la cooperativa consente di accettare nuovi soci e modificare gli assetti in maniera molto snella, come ci auguriamo sarà quando i nuovi collaboratori cresceranno e vorranno fare parte del gruppo dirigente dello studio.

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Nasce MC2 Legali

La stampa di settore comunica la nascita di MC2 Legali

Nasce a Parma MC2 legali, un nuovo studio legale in forma di cooperativa. Le fondatrici e socie sono le avvocate Manuela Mulas, Donata Cappelluto Lauravita Cappelluto, che dopo aver lavorato insieme per molti anni hanno deciso che la forma dello studio associato non rappresentava lo spirito della loro collaborazione e non assicurava una prospettiva adeguata ai propri collaboratori.

Lo studio assiste privati, imprenditori e imprese nella gestione di problemi di successione e gestione patrimoniale, nei rapporti con banche e istituti di credito, nella prevenzione della condotta penalmente rilevante nelle società e negli enti (D.Lgs. n. 231/01), e nella difesa tecnica nel processo penale, in particolare per imputazioni da reati di «colletti bianchi».

La sede storica dello studio si trova nel centro di Parma.


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Il contributo di Donata Giorgia Cappelluto e Urbano Rosa su Il Libero Professionista – Reloaded

Riportiamo di seguito un estratto dell’articolo redatto dagli avvocati Donata Giorgia Cappelluto e Urbano Rosa, pubblicato sulla rivista Il Libero Professionista – Reloaded

Tanto rumore per nulla

Le modifiche apportate dalla riforma Nordio al Codice penale e al Codice di procedura penale sembrano rispondere più istanze di carattere ideologico che sostanziale. Apprezzabile l’impostazione garantista di alcune norme, ma gli annosi problemi che affliggono il nostro sistema penale restano in piedi

Tanto rumore per nulla. Il clamore suscitato dalla riforma Nordio con il suo leggero lifting all’ordinamento giudiziario e, in particolare, al Codice penale e al Codice di procedura penale è ingiustificato rispetto alla reale ricaduta applicativa della norma, che pare rispondere più ad istanze di carattere ideologico che sostanziale. Ben lungi dal rappresentare la soluzione degli annosi problemi che affliggono il nostro sistema penale, le norme in esame contengono tuttavia alcune modifiche apprezzabili in un’ottica maggiormente garantista del nostro ordinamento.

Abuso d’ufficio a impatto zero

L’intervento sull’art.323 c.p. (l’abuso d’ufficio) va invero ad incidere su un reato le cui statistiche raccontano essere oggetto di processi ad altissimo tasso di archiviazio- ne (oltre l’85% nel 2021). Si tratta infatti di un reato per sua natura difficile da provare, anche perché le soglie di pena previste (da uno a quattro anni di reclusione) non consentono l’uso delle intercettazioni. Senza considerare che tale tendenza all’archiviazione è comunque inevitabilmente destinata ad accentuarsi in ragione dell’entrate in vigore della riforma Cartabia e di quella “ragionevole previsione di condanna” che sola potrà giustificare il rinvio a giudizio. Nonostante le recenti riforme che hanno interessato l’abuso d’ufficio, il reato in questione continuava ad essere oggetto di richieste di rinvio a giudizio, da parte delle Procure, argomentate in ragione del solo e sovente opinabile accertamento del semplice errore amministrativo, senza alcuna indagine sull’elemento psico- logico del reato (invece determinante), ragione per cui la quasi totalità dei procedimenti penali si concludeva con l’assoluzione dell’imputato, talvolta perché il reato non sussisteva.


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Il contributo di Donata Giorgia Cappelluto sulla newsletter di ANF

Riportiamo un estratto dell’articolo dell’avv. Donata Giorgia Cappelluto sulla rivista ANF – Newsletter

Riforma Nordio: non c’è pace
per gli attori della “giustizia penale”

Solo all’inizio dell’anno corrente gli addetti ai lavori hanno iniziato a misurarsi con le nuove disposizioni introdotte dalla c.d. riforma Cartabia, funzionali a perseguire il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi europei del PNRR quan- do, il 15 giugno ultimo scorso, il Governo Meloni ha approvato il disegno di legge recante le modifiche al Codice penale, al Codice di procedura penale e all’Ordinamento giudiziario, più noto come la “grande riforma del Guardasigilli Carlo Nordio”.

Benchè nel corso della medesima seduta (n. 39/2023) il Ministro avesse chiesto una sollecita calendarizzazione del disegno di legge in questione, esso ha già subito una brusca battuta di arresto a causa del livello di tensione raggiunto in questa calda estate nello scontro tra potere esecutivo e potere giudiziario. Pertanto, l’iter del disegno di legge, presentato alle Camere il 20 luglio, dopo la firma del Presidente della Repubblica, è stato già aggiornato a settembre dopo la pausa estiva.

Comunque vada, se la Riforma Nordio – decisiva per l’attuazione del program- ma di Governo – dovesse essere approvata con il voto di fiducia, il suo impatto nel settore della giustizia penale sarebbe, diversamente da quanto annuncia- to, piuttosto modesto!

Le modifiche al codice penale

Le modifiche proposte in tema di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) e traffico di in- fluenze illecite (art. 346 bis c.p.) sono destinate a deflazionare una percentuale del contenzioso penale davvero marginale atteso l’ambito di applicazione pos- sibile delle due norme in questione.

Trattasi di norme incriminatrici di chiusura dello “statuto” dei delitti contro la P.A., disciplinati nel libro II – titolo II – del codice penale che si applicano in casi del tutto residuali in cui le condotte punibili, poste in essere contro la P.A., sfuggono alla casistica (tassativa) sussumibile nelle ipotesi di reato tradizionali e più gravi.


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